MADRE

(Traduction en italien)

La madre o la grande storia mai scritta       

Si può parlare di un soggetto madre nella teoria femminista dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta? Perché il femminismo di questo periodo si è interessato alla madre? Quale ruolo occupa la figura materna nella teoria femminista? In che misura la sua rivalutazione ha permesso ad alcune teoriche femministe di rimettere in discussione la visione patriarcale del ruolo delle donne nella società contemporanea? Una nuova visione della madre può tradursi in nuove pratiche politiche?

Il femminismo statunitense e quello dell’Europa occidentale (Francia, Italia) hanno cercato di concettualizzare, secondo diverse prospettive anche interdisciplinari, il ruolo della figura materna in base al suo significato domestico (la madre è soltanto colei che si occupa del focolare?), sociale (cosa significa essere madri in una società patriarcale? Si può essere madri pur continuando ad essere donne?), genealogico (il femminismo si è interessato all’influenza del rapporto madre/figlia e delle relazioni tra donne nella formazione dell’identità femminile), politico (l’importanza della maternità nella presa di coscienza politica), senza mai prescindere dal legame tra la materia e il corpo materno[1]. In particolare, ripensare e riconcettualizzare la figura materna ha significato, durante la seconda ondata femminista ed in particolar modo a partire dal saggio della scrittrice nord-americana Adrienne Rich, Of Woman Born (1976), riscrivere « the great unwritten history » (Rich, 1976, p. 225), ovvero le relazioni tra donne e, prima fra tutte, la relazione madre/figlia, partendo dall’interesse per il ruolo della madre nello sviluppo psicologico infantile fino all’approfondimento del tema del mothering, cioè delle cure materne, oggi legato al concetto di care,in sociologia e antropologia. In modo simile, in Europa occidentale, attraverso vie/voci differenti, il femminismo ha cercato principalmente di ridare centralità alle genealogie femminili, in particolare alla madre e al suo ruolo nella costruzione dell’identità femminile.

Dalla riflessione sulla relazione madre/figlia al « matricidio originario » fino ai motherhood studies[2]: ripensare la madre e le relazioni tra donne

Negli Stati Uniti, la riflessione sull’importanza della figura materna e sulla maternità si articola, a partire dagli anni Settanta, intorno a tre assi fondamentali: la maternità come esperienza fisica femminile, la maternità come istituzione o ideologia patriarcale e la maternità come ricerca identitaria e come nodo fondamentale della soggettività femminile (O’ Reilly, Maternal Theory, 2007, p. 2). Una quarta categoria, l’agire (agency) o attivismo materno, si delinea inoltre negli anni più recenti[3].

Andrea O’ Reilly, fondatrice dei motherhood studies riprende, nella sua riflessione, la distinzione di Adrienne Rich, la quale separa l’istituzione (motherhood) dall’esperienza (mothering) della maternità[4], decostruendo diverse immagini patriarcali (la madre onnipotente o la potenza materna distruttrice), allo scopo di aprire nuovi spazi teorici e politici per concepire la soggettività femminile. In questo senso, la nozione di filiazione è fondamentale per concepire la maternità: che si tratti di motherhood o di mothering, la madre è concepita come la prima figura femminile con la quale il soggetto (bambino o bambina) si confronta, dalla quale nasce, con la quale cresce e si forma, in una società patriarcale in cui il padre è quasi sempre assente. Rich è, inoltre, la prima autrice a rivalutare l’amore della figlia per la madre e a sottolineare l’importanza delle relazioni per la formazione dell’identità femminile: nate di donna, le donne si sviluppano, in effetti, attraverso l’interazione con la genitrice del loro stesso sesso. L’amore della e per la madre, concepibile come una forma di omosessualità, è dunque, in un certo senso, costitutiva dell’identità femminile oltre che indispensabile ad ogni donna per conoscere la differenza sessuale[5].

La teoria della riproduzione della funzione materna formulata da Nancy Chodorow nel suo saggio The Reproduction of Mothering (1978)[6] costituisce il secondo nodo fondamentale a partire dal quale madre e identità femminile s’intrecciano nel dibattito femminista. Ripartendo dalla teoria delle relazioni oggettuali (M. Klein) e dalla filosofia sociale (Talcott Parsons, la Scuola di Francoforte), Chodorow considera il mothering, ossia il fatto che le prime cure del lattante siano affidate alla madre, l’elemento fondamentale della dominazione maschile, della divisione sessuale del lavoro e dell’organizzazione sociale del genere (Chodorow, 1978, p. 17). Chodorow propone inoltre, una concezione relazionale dell’io, approfondisce l’importanza del ruolo materno nello sviluppo psicologico del lattante e comincia a studiare il territorio pre-edipico che Freud e Lacan avevano lasciato inesplorato. Il saggio di Chodorow suscita, infine, diverse riflessioni negli anni che ne seguono la pubblicazione, soprattutto nell’ambito della psicologia di impronta femminista (Gilligan, Flax, Benjamin).

Carol Gilligan (In a Different Voice: Psychological Theory and Women’s Development, 1982) individua una differenza nella maniera femminile o maschile di concepire le relazioni interpersonali e propone una distinzione tra un’« etica » femminile « della cura » e un’« etica » maschile « della giustizia » (Gilligan, 1982, p. 174). In effetti, ciascun genere sviluppa una concezione diversa dell’etica a seconda del proprio modo di gestire i problemi di dipendenza dalla figura materna e, di conseguenza, di vivere le relazioni con gli altri[7]. Tuttavia, le teorie dello sviluppo da Freud in poi concepiscono le relazioni ed il loro evolvere esclusivamente a partire dal modello maschile, senza prendere in considerazione l’altra voce, quella delle donne, quella della differenza.

Jane Flax (« Mother-Daughter Relationships: Psychodynamics, Politics, and Philosophy », 1985), analizzando i limiti della teoria psicoanalitica freudiana sullo sviluppo della bambina e l’importanza del periodo pre-edipico nello sviluppo dell’identità femminile, prova a formulare i pericoli della relazione madre/figlia e a descrivere anche il lato oscuro del materno. Flax sottolinea, in effetti, per la prima volta, l’importanza, per la costruzione di una soggettività femminile autonoma[8] del processo di differenziazione dalla figura materna e afferma, allo stesso tempo, la necessità di riconoscere la madre come un soggetto autonomo[9]: si delinea così ciò che si potrebbe definire come il soggetto madre.

La negazione della madre e l’assenza di un riconoscimento reciproco (mutual recognition) tra madre e figlio nel processo di sviluppo del bambino maschio (Benjamin, 1985, p. 41) arrivano fino a strutturare, secondo Jessica Benjamin (« The Bonds of Love: Rational Violence and Erotic Domination », 1985), le relazioni di dominazione erotica che caratterizzano la società occidentale. Riconcettualizzando parte del vocabolario psicoanalitico (i concetti di recognition, inclusion, complementarity), Benjamin riesce inoltre, nel suo saggio Like Subjects, Love Objects: Essays on Recognition and Sexual Difference (1995), a offrire una nuova prospettiva sulla relazione madre/figlia e sulla costruzione della soggettività nell’infanzia. In effetti, secondo la psicanalista, lo sviluppo psicologico del bambino si compie e deve compiersi all’insegna della differenziazione e di un riconoscimento reciproco tra madre e figlio/figlia: il bambino/la bambina  può così mantenere la propria individualità, la propria autonomia, la propria complementarietà rispetto alla madre, pur conservando il proprio essere altro/a, la propria differenza.

Un posto a parte occupa nel femminismo il pensiero femminista nero, in cui « gli sforzi per dare forma all’istituzione della maternità nera » si coniugano con le riflessioni sulle « oppressioni intrecciate di razza, genere, classe, sessualità e nazionalità » (Hill Collins, 2009, p. 283). Per esempio, Patricia Hill Collins, nella sua opera Black Feminist Thought (1990), teorizza, decostruendo alcuni archetipi normativi patriarcali come quello della « madre nera super-forte » (Hill Collins, 2009, p. 281), alcune nuove nozioni legate alla maternità nera. Così, la relazione madre-figlia è concepita nel black feminism come un « dilemma preoccupante » (Hill Collins, 2009, p. 293) tra un tentativo della madre di garantire la sopravvivenza fisica della figlia e/o la possibilità per la figlia di una costruzione emotiva che le permetta l’integrazione nella società patriarcale; inoltre, Collins spiega come, nelle comunità afro-americane, il mothering sia inteso come una forma di empowerment, esaltandone in questo modo il potere creativo. L’opera introduce, infine, alcuni nodi concettuali fondamentali per il pensiero femminista: l’esistenza di figure materne alternative alla madre biologica che modificano l’idea di una madre unica e onnipotente (othermothers e reti sociali ginocentriche), i concetti di « maternità intellettuale » tra donne, di « maternità sociale » e « maternità militante[10]» che servono, tra l’altro, a dimostrare come il femminismo nero offra la possibilità di confutare l’idea della « separazione e dell’interesse individuale come basi per l’organizzazione della comunità o della realizzazione personale di ogni individuo », aprendo nuove vie per dimostrare l’utilità e l’importanza delle relazioni femminili per l’educazione e per la costruzione di una società più emancipata (Hill Collins, 2009, p. 304).

In Francia, Julia Kristeva, Hélène Cixous e Luce Irigaray esplorano la centralità della figura materna e l’importanza del rapporto madre/figlia come nodo fondamentale della differenza sessuale, soprattutto negli anni Settanta.

Se Kristeva ha studiato, ne La Révolution du langage poétique (1974), il legame tra la madre e il semiotico[11], Cixous ha approfondito il rapporto tra il corpo femminile/materno e la scrittura, in particolare ne Le Rire de la Méduse et autres ironies (1975, ripubblicato nel 2010)[12] e in Entre l’écriture. Le due autrici esplorano, in effetti, vari temi legati al legame tra la figura materna e il linguaggio — la madre cioè non soltanto ci insegna a parlare, ma trasmette anche la capacità creativa insita nel linguaggio stesso —, senza tralasciare l’importanza delle relazioni femminili, gli stereotipi patriarcali legati alla figura materna, in particolare alla Vergine Maria (Kristeva, « Stabat mater », 1977), e una visione nuova e positiva della maternità come esperienza necessaria alla presa di coscienza politica delle donne.

La filosofa Luce Irigaray ha affrontato il tema delle relazioni femminili e, in particolare, del rapporto madre/figlia in numerosi testi, tra il 1974 (Speculum. De L’autre femme) e il 1990 (Je, tu, nous. Pour une culture de la différence). Se in Speculum e in Ce sexe qui n’en est pas un (1977), Irigaray si interroga sull’assenza, nella psicanalisi, di una riflessione sullo sviluppo psicologico della bambina, i temi principali di Et l’une ne bouge pas sans l’autre (1979) sono l’impossibilità di una relazione non fusionale tra madre e figlia, i rischi di un potere materno distruttivo e la necessità per la figlia di differenziarsi dalla madre. Tuttavia, il contributo più importante di Irigaray sul tema del materno si trova ne Le corps-à-corps avec la mère (1981): l’autrice vi propone, infatti, l’idea di un « matricidio originario » (Irigaray, 1981, p. 23) che struttura la cultura occidentale e della scomparsa della madre e della diade madre/figlia dall’ordine simbolico, sociale, culturale occidentali. Questa riflessione prosegue in Je, tu, nous (1990) dove Irigaray mette l’accento sull’oblio della matrilinearità e delle genealogie femminili nelle società patriarcali dell’Occidente e sulla necessità di trasmettere di madre in figlia una cultura femminile e femminista, una cultura della differenza.

L’Italia dagli anni Settanta ad oggi: il lavoro sul simbolico della relazione madre/figlia

In Italia, la riflessione sul materno si articola intorno al legame tra autorità e libertà nella relazione con la madre e si traduce con le femministe italiane del gruppo Diotima nella pratica politica dell’affidamento, la quale mira a ridare valore al ruolo della madre nelle relazioni femminili. L’affidamento è una pratica che si propone di affermare la natura sessuata del pensiero e di stabilire un legame tra donne che permetta la trasmissione di autorità, saperi ed esperienze da donna a donna, recuperando la verticalità del rapporto madre/figlia e creando al contempo nuove alternative alle derive di questo rapporto (separazione, odio, annientamento, ecc.).

Negli anni Settanta, diversi temi legati al materno sono stati al centro della riflessione di alcuni gruppi femministi autonomi come Demau (Demistificazione Autoritarismo Patriarcale) e Rivolta Femminile, secondo i quali « il rapporto con la madre è all’origine di tutto [e] in quel rapporto originario ci sono le radici della nostra identità e della nostra creatività » (Lussana, 2012, p. 75). Ad esempio, in « Madre mortifera » (1974), il gruppo Demau cerca di distruggere l’immagine maschile e patriarcale di una « madre fallica » e « mortifera » (Fachinelli, Lilith, 1974, p. 144), tentando di separare i due ruoli di donna e di madre, per riorientare il dibattito sulla libertà e sull’autonomia femminili.

Carla Lonzi, figura centrale del femminismo italiano e fondatrice di Rivolta Femminile, considera la riflessione sul rapporto madre/figlia fondamentale per decostruire il « mito » dell’uomo che impedisce alle donne la possibilità di un riconoscimento reciproco. Secondo Lonzi, è necessario innanzitutto « prendere coscienza della madre », pur prevedendo l’impossibilità di un ritorno al materno: riconoscersi nella e attraverso la madre, reale o simbolica, è infatti impossibile, poiché quest’ultima è « una donna vaginale[13] ». Le donne devono affrontare, quindi, il doppio trauma dell’abbandono e del tradimento materni, accettare la solitudine, momento irrimediabile della coscienza che permette loro di riconciliarsi con il proprio genere e di raggiungere la consapevolezza necessaria all’autonomia politica (Boccia, 1990, p. 217-8).

Nel femminismo più recente, il testo italiano più importante sulla madre e sul suo ruolo nella costruzione dell’identità femminile è L’ordine simbolico della madre di Luisa Muraro (1991). Muraro, considerando la madre innanzitutto come « una relazione » (Muraro, 1991, p. 8), propone di ricostituire una nuova metafisica partendo dal saper amare la madre, riprendendo l’idea irigarayana che l’ingresso nell’ordine simbolico e nel linguaggio non avviene con il padre, ma attraverso la madre e la sua lingua. È quindi ricostruendo un nuovo ordine simbolico materno, innanzitutto nel linguaggio, che le donne possono, non solo ritessere i loro legami, ma anche il significato stesso dell’autorità e della libertà.

Le questioni dell’origine, dell’autorità, della libertà, della relazione madre/figlia nel pensiero della differenza sessuale sembrano, infine, intrecciarsi nel pensiero di Diotima — gruppo attivo di filosofe e scrittrici femministe, formatosi nel 1984 a Verona[14]. Il tema della madre è stato approfondito soprattutto nei due seminari, poi divenuti libri, La magica forza del negativo (2005) e L’ombra della madre (2007). In questi testi, le filosofe spiegano innanzitutto la necessità, per creare la differenza sessuale oggi, di affrontare   il « male metafisico » e/o « contingente » presente nella relazione madre/figlia (Diotima, 2005, p. 36), per costruire nuove relazioni tra donne: ed è ciò che chiamano la capacità di « attraversare il negativo » della relazione madre/figlia (Diotima, 2005, p. 1). Il gruppo prova anche a teorizzare quei lati oscuri e inquietanti che emergono quando le relazioni non trovano una « mediazione » femminile[15]. È, infatti, nella relazione con la madre/matrice e con le altre donne che può avvenire il passaggio attraverso il negativo (da intendersi hegelianamente), ma anche la possibilità d’accesso al simbolico e ad un nuovo modo di comprendere la realtà: e questo, appunto, attraverso il « taglio » della differenza sessuale (Diotima, 2005, p. 31).

Pratiche politiche italiane legate al materno: l’affidamento

Se l’assunto principale di gran parte del femminismo italiano, sulla scorta del pensiero statunitense e francese, si fonda sull’idea che ripensare il rapporto madre/figlia significhi innanzitutto ripensare l’identità sessuale e sessuata, ma anche le relazioni tra donne, con l’obiettivo di costruire un « ordine simbolico che comprenda e liberi il femminile » (Melusine, 1992, p. 9), negli anni Ottanta si costituisce una pratica politica che dà vita a queste teorie[16]: la pratica dell’affidamento, « traduzione sul piano sociale della relazione con la madre » (Diotima, 1987, p. 34), che permette la realizzazione di una « struttura simbolica della mediazione femminile » (ibid.). In effetti, in questa relazione verticale al femminile, la disparità e l’autorità dell’altra donna vengono riconosciute come valore positivo e quest’atto simbolico di riconoscimento dell’altra-donna permette il costituirsi di un nuovo potere e di un nuovo desiderio femminili (Diotima, 1987, p. 110), oltre alla presa di coscienza di sé e di nuove possibilità di esistenza per le relazioni tra donne e per il femminismo.

Conclusione

Se la riflessione sulla figura materna è stata messa a tacere nella cultura patriarcale occidentale, poiché la relazione di questa « coppia incestuosa » madre/figlia (Didier, 1981, p. 80) costituisce il pericolo maggiore per la società ed il suo perpetuarsi, l’obiettivo delle riflessioni teoriche e delle esperienze politiche femministe sul tema della madre resta la necessità di superare i paradigmi teoretici, i pregiudizi e i miti androcentrici per ripensare le relazioni tra donne, allo scopo di definire, come suggerito da Marianne Hirsch, il soggetto femminile nella sua « molteplicità, pluralità e continuità d’essere » (Hirsch, 1981, p. 209).

Per citare questo articolo: Doria, Federica: « Mère». Dictionnaire du genre en traduction / Dictionary of Gender in Translation / Diccionario del género en traducción. ISSN: 2967-3623. Mis en ligne le 19 avril 2023: https://worldgender.cnrs.fr/notices/mere/

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[1] Come osservato da A. Rich nel suo saggio Notes toward a Politics of Location, il corpo femminile resta per sempre legato al corpo materno il quale è, innanzitutto, materia, già nel suo significato etimologico: « To reconnect our thinking and speaking with the body of this particular living human individual, a woman. Begin, we said, with the material, with matter, mma, madre, mutter, moeder, modder, etc., etc. » (Rich, 1984, p. 213)

[2] La bibliografia critica che propongo in questo articolo si riferisce ad alcuni testi fondamentali della riflessione statunitense e francese sulla madre e sulla maternità e non intende essere esaustiva.

[3] Cf. O’ Brien Hallstein, O’ Reilly, Giles, 2019, p. 2: « […] motherhood studies may be divided into four interconnected themes or categories of inquiry: the institution of motherhood, motherhood as experience, maternal identity or subjectivity, and finally maternal agency/activism. »

[4] Come precisato da O’ Reilly: « The term “motherhood” refers to the patriarchal institution of motherhood, which is male defined and controlled and is deeply oppressive to women, whereas the word “mothering” refers to women’s experiences of mothering and is female defined and centered and potentially empowering to women. » (O’ Brien Hallstein, O’ Reilly, Giles, 2019, p. 2)

[5] Cf., su questo argomento, il capitolo 9 (« Motherhood and Daughterhood ») dell’opera di Rich, Of Woman Born.

[6] L’idea politica di Chodorow è quella di interrompere la riproduzione della funzione materna al fine di rovesciare le strutture sociali, politiche e del lavoro stabilite dal patriarcato, oltre che i tradizionali ruoli di genere (traditional gender roles) (Chodorow, 1978, p. 218)

[7] In effetti, le donne concepiscono le relazioni alla luce di un’interdipendenza tra soggetti (essere responsabili significa essere sensibili all’altro/a) e stabiliscono la loro etica secondo due principi, la cura (care) e la responsabilità, mentre gli uomini agiscono generalmente « secondo la logica e la legge » (Gilligan, 1982, p. 29)

[8] Cf. Flax, 1985, p. 23 : « I believe that the development of women’s core identity is threatened and impeded by an inability to differentiate from the mother. I see as a central problematic in female development the very continuity of identity with the mother […]. This leads us to differences on the importance of the issue of autonomy for women as well. »

[9] Secondo Jane Flax, le teorie psicanalitiche non esplorano in modo sufficientemente dettagliato il ruolo della madre, la quale appare sempre come un oggetto per il bambino e non come un soggetto autonomo. Cf. Flax, 1985, p. 25.

[10] Cf., su questo argomento, il capitolo 8 dell’opera di P. Hill Collins, « Black Women and Motherhood ».

[11] Per Kristeva, il semiotico equivale alla vita pulsionale della prima infanzia che precede la significazione e si articola in una chora (Kristeva, 1974, p. 23) di cui il corpo della madre sarebbe il principio ordinatore che ha anche la funzione di « mediare la legge simbolica che organizza le relazioni sociali » (id., p. 27). Il semiotico è, quindi, « una tappa — o una regione — fondamentale nel processo di costituzione del soggetto, occultata dall’arrivo della significazione, cioè del simbolico » (id., p. 39).

[12] È in questo testo che Cixous ha coniato l’espressione écrire à l’encre blanche, sottolineando anche che « la femme n’est jamais loin de la “mère” (que j’entends hors rôle, la “mère” comme non-nom, et comme source de biens) […] » (Cixous, 2010, p. 48).

[13] Cf., su questo argomento, i due testi di Lonzi citati in bibliografia, in cui l’autrice propone una distinzione tra donne vaginali e donne clitoridee — queste ultime sono le sole a potersi riconoscere reciprocamente e a poter esistere altrimenti attraverso il femminismo.

[14] Per i testi di Diotima, cf. il sito internet del gruppo: https://www.diotimafilosofe.it/.

[15] Per il concetto di mediazione, rinvio ai testi di Muraro.

[16] Nel gennaio 1983, le femministe milanesi pubblicano nella rivista « Sottosopra » un documento intitolato Più donne che uomini, in cui cominciano a riflettere sulla possibilità dell’esistenza di un mondo tutto al femminile. Da questo documento nascerà la pratica dell’affidamento.


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