GRASSOFOBIA

Origine e definizione di un concetto

Il concetto originale di «grassofobia»[1] si riferisce alla paura di essere grassi (Carof, 2021), ma più in generale ai sistemi di oppressione che, nelle società prevalentemente occidentali e patriarcali, colpiscono le persone grasse svalutandole e stigmatizzandole (ibidem), e in particolare le minoranze (Gailey, 2012; McPhail et al., 2016; Burford e Orchard, 2014). Tali oppressioni, esercitate attraverso vari dispositivi (mediatici, medici, ecc.), contribuiscono al dominio di ideali corporei come i corpi magri o ipertrofici (Robinson et al., 1993) e sono amplificate dal mondo digitale, che funge da cassa di risonanza a geometria variabile.

Conosciuta in inglese come fatphobia, la grassofobia è stata resa popolare negli anni ’60 in seguito alle richieste del movimento statunitense Fat Acceptance, che si batteva per i diritti delle persone grasse (Wann, 2009). In Francia, il suo corrispettivo in lingua francese è stato creato solo nel 1994 con il neologismo non scientifico « grossophobie », costruito a partire dalle parole « gros » e « phobie » e utilizzato per la prima volta dalla defunta attrice Anne Zamberlan nel suo libro Coup de gueule contre la grossophobie [Attacco di rabbia contro la grossofobia] (Ramsay). Resa popolare dall’associazione di attivisti contro la discriminazione Allegro Fortissimo, fondata dalla stessa Anne Zamberlan, la parola « grassofobia » ha fatto il suo ingresso nel dizionario francese Robert nel 2019. Questo atto linguistico, che comprende enunciati orali o testuali, è seguito certamente da atti fisici (Butler, 1993). La creazione e l’uso di questo neologismo si inserisce infatti in una progressiva presa di coscienza della violenza subita dalle persone che non si conformano ai corpi normalizzati, prodotti delle relazioni sociali di genere, classe, razza o validismo[2], che sono alla base del fenomeno della grassofobia. I corpi corpulenti sono quindi inscritti in relazioni di potere diseguali (Carof, 2021 p. 80): relazioni sociali di genere (Gailey, 2016; McPhail et al., 2016; Burford e Orchard, 2014) perché fisicamente inferiori, le donne, più soggette ai diktat del corpo (ingiunzione della vita sottile o dell’uso del corsetto dal XVI al XIXe secolo (Vigarello, 2010)), devono occupare il minor spazio possibile (ibid, p. 70); di classe perché la grassezza riflette un «razzismo di classe» secondo il quale la grassezza è un segno di appartenenza popolare (Bourdieu, 1979); di razza perché è inscritta in una storia coloniale e razziale (Stringhe, 2019; Gershon, 2019), la grassofobia può essere legata all’identificazione della grassezza con la femminilità nera, che è stata a lungo considerata «inferiore» nelle società occidentali (Strings, 2019); oppure al validismo (o abilismo), poiché le persone grasse sono trattate in modo diverso dal peso-norma ideale (cfr. sotto: Wann, 2009).

Le origini dell’ideale dimagrante

In quanto prodotti di costruzioni sociali e culturali (Butler, 1993), alcuni corpi sono sistematicamente valorizzati (ad esempio, eterosessuale, bianco, magro), mentre altri sono sminuiti (ad esempio, omosessuale, nero, grasso), in particolare nelle società egemoniche occidentali postcoloniali. In queste ultime, l’ideale del corpo magro ha origine in una particolare congiuntura storico-sociale, in particolare tra i decenni del 1880 e del 1920, quando le rappresentazioni che associavano le dimensioni del corpo delle donne alla ricchezza e alla fertilità si stavano trasformando e riducendo (Rothblum e Solovay, 2009). In questo periodo, inoltre, l’obesità è stata vista come un rischio per la salute (ibid.); un cambiamento che può essere attribuito ai cambiamenti economici e industriali delle società occidentali. Con il declino dell’agricoltura come attività economica principale, lo sviluppo di nuove professioni che richiedevano meno attività fisica e la disponibilità di cibo nelle città, la grassezza non era più un segno di ricchezza. Le relazioni si sono invertite e i corpi grassi sono diventati gradualmente un segno di status socio-economico inferiore (ibid.).

Con lo sviluppo del capitalismo industriale e l’ascesa del protestantesimo – un credo basato sulla soddisfazione del capitale piuttosto che sul piacere edonistico (Oliver, 2006) – i discorsi religiosi (la gola è uno dei sette peccati capitali) e medici hanno contribuito a legittimare rappresentazioni che vittimizzavano i corpi grassi. Nel XIX secolo, l’atto del mangiare era rappresentato come un piacere carnale e sia la sovralimentazione che la gola erano viste come deviazioni da controllare (Jutel, 2003). Estesa alla società (Carof, 2021, p. 39), la dottrina igienista impone restrizioni alimentari per «combattere la vita sedentaria, l’ozio e l’immagine svalutata della modernità» (ibid., p. 158). In questo contesto, i principi del capitalismo mettono in ombra le connotazioni positive associate ai corpi grassi. La convinzione che la grassezza sia associata a debolezza, sciatteria o improduttività porta alla svalutazione delle persone grasse (Stoll e Egner, 2021). In questo modo, il tema dell’obesità e dei suoi effetti sulla salute degli individui è diventato così diffuso nel discorso pubblico che il conteggio delle calorie e la pesatura del corpo sono diventati pratiche regolari nel XIX secolo (Rothblum e Solovay, 2009), quando sono stati sviluppati i principi dell’antropometria (Carof, 2021). Sono emersi diversi strumenti per la misurazione della massa corporea, come l’indice di massa corporea (IMC) definito dallo statistico A. Quételet, o la formula del dottor Paul Broca che, sottraendo 100 dall’altezza in centimetri[3], mira a misurare il peso «ideale» (De Saint Pol, 2007). Tuttavia, lungi dal raggiungere un consenso, questi strumenti di misurazione non sono esenti da problemi strategici; la scelta delle definizioni di obesità dipende da questioni economiche (Poulain, 2009; Carof, 2021).

La medicalizzazione della grassezza: un processo che rafforza gli stereotipi esistenti

In una società che attribuisce grande importanza all’aspetto esteriore come indicatore del benessere interiore, la comunità medica non è immune da queste convinzioni, che fanno della magrezza la base dell’estetica della salute (Spitzack, 1990) e contribuiscono all’idea che il «sovrappeso» sia un segno di cattiva salute (Jutel, 2003). L’obesità viene così patologizzata e medicalizzata, definita come un problema di competenza delle autorità mediche (Stoll e Egner, 2021). Sebbene il processo di medicalizzazione dell’obesità risalga al XIX secolo, si è rafforzato negli anni ’80 quando si è sviluppata l’idea, sostenuta dagli interessi economici delle aziende farmaceutiche e dalla creazione di associazioni scientifiche e di nuove specialità come la chirurgia bariatrica (Carof, 2021), che l'»obesità» fosse una malattia (Oliver, 2006; Poulain, 2009), definita come tale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Carof, 2021, p. 183). Nel decennio successivo, la comunità medica ha addirittura definito l’obesità come «epidemia» (Oliver, 2006). Tuttavia, sebbene molti studi che mettono in guardia dai pericoli dell’obesità abbiano confermato un legame tra le abitudini alimentari e sportive delle persone e il loro stato di salute, nonché tra l’aumento dell’IMC e il rischio di patologie (Calle et al., 2003), la presunta correlazione tra sovrappeso e mortalità rimane controversa (Flegal et al., 2013).

L’epidemiologo K. Flegal dimostra che, a seconda dei casi, il sovrappeso può essere pericoloso o protettivo. Inoltre, mettendo in discussione la definizione di obesità come malattia, numerosi studi hanno rilevato che le persone in sovrappeso hanno un tasso di mortalità inferiore a quello delle persone monopeso nel contesto di alcune patologie (Carof, 2021, p. 184-185). Sostenendo che il sovrappeso è piuttosto un sintomo di uno stile di vita sedentario e di morte prematura, alcuni studi hanno persino dimostrato che la magrezza ha un rischio di mortalità più elevato dell’obesità (Gaesser, 1999).

Inoltre, sebbene degli studi dimostrino che la grassezza non è un segno di salute, la patologizzazione e la medicalizzazione dell'»obesità» contribuiscono comunque a perpetuare stereotipi negativi sulle persone grasse, che si basano su presunte caratteristiche correlate come la pigrizia, la stupidità, la debolezza, la passività, l’antigienicità o la mancanza di attrattive (Gailey, 2016). Queste rappresentazioni stigmatizzanti contribuiscono a compromettere la qualità della vita e la salute mentale delle persone grasse, che spesso vengono discriminate sul posto di lavoro o nelle strutture sanitarie (Wann, 2009; Roehling et al., 2007). Le persone grasse sono talvolta sottoposte a trattamenti medici discriminatori, come la richiesta di perdere peso per ricevere un trapianto di organi (Wann, 2009). Il personale medico, compreso quello del settore della salute mentale, ha spesso una visione negativa dei pazienti obesi, rafforzando così le connotazioni negative associate al sovrappeso, che non sono prive di rischi per la vita (Brown, 2006; Chrisler e Barney, 2017). Ciò è dimostrato dall’errata diagnosi di obesità (Wann, 2009), che rivela il validismo che prende di mira le persone grasse.

La grassofobia nell’era digitale: un fenomeno in crescita

Arma a doppio taglio (Bourdeloie, 2021), la tecnologia digitale contribuisce – attraverso le sue caratteristiche tecniche – ad amplificare e moltiplicare i discorsi sulle rappresentazioni grassofobiche, ma anche a contrastarle. Basato sulla produzione e sulla circolazione di fotografie, Instagram è in questo senso una piattaforma sintomatica per i territori delle rappresentazioni grassofobiche. La circolazione degli hashtag (#thinsperation,[4] #fitspiration,[5] #bodygoals[6]…) e i discorsi che accompagnano le fotografie e promuovono corpi magri, muscolosi e sessualizzati, che invitano fortemente al controllo del peso e all’esercizio fisico (Carrotte et al., 2017). Inoltre, i pregiudizi algoritmici di questa piattaforma (Ekström, 2021) danno maggior peso alle immagini che privilegiano i corpi dominanti piuttosto che quelli minoritari (ibid.), o che esacerbano gli attributi di genere oggettivando la messa in scena dei corpi. Riproducendo standard egemonici di bellezza, questi segni e discorsi non sono privi di conseguenze per gli individui che vi sono esposti (Tiggemann e Zaccardo, 2015). Essi riguardano sia le donne che gli uomini[7] (Aziz, 2017). La piattaforma, che svolge un ruolo di propagazione degli stereotipi negativi, contribuisce al senso di insoddisfazione delle persone nei confronti del proprio corpo (Albermann, 2022), ai disturbi alimentari (Frederick et al., 2017) e persino ai rischi per la salute fisica o mentale. Lo dimostra la tendenza del «thigh gap», che incoraggia le donne a mantenere uno spazio tra le cosce…

Tuttavia, contro queste glorificazioni di fotografie di corpi idealizzati, sono emersi online altri movimenti che sostengono l’accettazione e la percezione positiva di corpi non standard (Afful e Ricciardelli, 2015). È il caso del «body positivism» che, promuovendo la salute fisica piuttosto che l’estetica, aspira a sfidare gli ideali dominanti di apparenza per concentrarsi sull’apprezzamento della funzionalità e dello stato fisiologico dei corpi (Sastre, 2014). Talvolta minoritari a causa delle loro caratteristiche etniche, sociali, razziali, sessuali o di disabilità…, i corpi e i fisici «non standard» hanno conquistato i social network digitali attraverso hashtag come #bodypositivity, #theysaid (un hashtag che consente alle vittime di molestie lordofobiche di condividere le loro esperienze) o #celebratemysize («celebra il mio peso»)… con l’obiettivo di rendersi visibili nello spazio pubblico. Tuttavia, nonostante sia un veicolo di emancipazione dai diktat egemonici della bellezza (Kelly e Daneshjoo, 2019), il body positivism è soggetto a critiche. Percepito come un movimento che perpetua il problema di fondo dell’attenzione all’aspetto (Cohen et al., 2019), è accusato di piegarsi a questioni economiche (Cwynar-Horta, 2016) e di escludere ipso facto le minoranze.

La grassofobia dal punto di vista delle scienze sociali

Da diversi decenni sta emergendo una serie di lavori accademici che adottano un’agenda attivista contro la discriminazione delle persone grasse. I fat studies [studi della/sulla grassezza] sono sempre più istituzionalizzati nelle scienze sociali di lingua inglese (Rousseau, 2016). Ereditati dagli studi culturali, i fat studies sono un campo di studi che sostiene l’uguaglianza di tutti gli individui a prescindere dalla forma del loro corpo (Rothblum, 2012) ed esamina, da un punto di vista critico, gli atteggiamenti sociali verso l’aspetto corporeo. I ricercatori di questa corrente di pensiero concepiscono il peso come una caratteristica umana che varia tra le popolazioni. Seguendo un approccio femminista postcoloniale, i ricercatori esaminano gli atteggiamenti verso le persone grasse, concentrandosi sull’intersezione delle relazioni di dominio in termini di genere, razza/etnia, classe sociale o orientamento sessuale (ibid.).

Sebbene i fat studies non siano ancora stati istituzionalizzati nel mondo francofono, nonostante l’emergere di opere significative (Carof, 2021), l’interesse per questo movimento sta guadagnando legittimità, come dimostra il successo mediatico del libro di Gabrielle Deydier On ne naît pas grosse [Non si nasce grassi], pubblicato nel 2017. L’emergere di queste riflessioni in ambito accademico e mediatico sta contribuendo a una graduale presa di coscienza nella sfera pubblica della gravità delle relazioni oppressive che le persone grasse vivono.

Per citare questo articolo:

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Riferimenti bibliografici

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[1] Questa nota si basa su un progetto di ricerca in corso sulla grassofobia online sostenuto dal GIS Institut du Genre e dalla Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord (2023-2024).

[2] Altre relazioni sociali, come l’età, contribuiscono a plasmare le rappresentazioni della grassezza.

[3] Una persona alta 170 cm ha un peso ideale di 70 kg.

[4] Il termine è una fusione delle parole «thin» (magro) e «inspiration» (ispirazione). L’hashtag in questione dovrebbe incoraggiare gli utenti a raggiungere un ideale di bellezza che si basa sull’estrema magrezza e sul mantenimento di un basso peso corporeo.

[5] Fusione delle parole fitness e inspiration, l’hashtag mira a incoraggiare le persone a fare esercizio fisico per costruire un corpo tonico e muscoloso.

[6] Traduzione italiana : obiettivi corporei/fisici.

[7] Al momento non siamo a conoscenza di studi sugli effetti del discorso grassofobico online su diversi generi.


ÉTIQUETTES

corpo, grassofobia, minoranze, peso, positivismo corporeo